Lo sciacallo – Nightcrawler, il film che ci insegna che il crimine paga sempre (o quasi) [Recensione]

Lo sciacallo – Nightcrawler -

In questi giorni di reclusione e sedentarietà stiamo riscoprendo in fondo quanto ci manchi andare al cinema con gli amici ma altresì come è bello la sera ritrovarsi con la propria famiglia sul divano a improvvisare una sala da film casalinga. Per fortuna internet ci offre un portfolio di opzioni davvero molto vasto, le piattaforme di streaming come cineblog01 con il loro roaster riescono a saziare ogni appetito di un perfetto cinefilo.

Lo sciacallo – Nightcrawler -

Stasera ci tuffiamo in un noir – thriller americano, un film il cui protagonista, Lo Sciacallo, nasce per incarnare la figura che meglio gli si cuce addosso: l’antieroe, ma che ci insegnerà che il crimine, alla fine, paga sempre.

Il crimine paga, dicevamo, nonostante quello che si potrebbe pensare. Uno dei tanti messaggi inquietanti trasmessi da Nightcrawler, questo inquietante thriller poliziesco neo-noir di Dan Gilroy che parla molto della natura voyeuristica della nostra moderna ossessione per la tragedia e la criminalità. Jake Gyllenhaal meritava più applausi di quanto avesse ricevuto nel ruolo di Lew Bloom all’epoca dell’uscita del film, un individuo inquieto ma magnetico e manipolatore che si fa strada nella vita di uno “stringer”, un vagabondo fotografo freelance per le strade buie di Los Angeles.

Il concetto dello stringer risale almeno agli anni ’30, di cui Gilroy divenne ossessionato nello sviluppo del film, ed è un parallelo appropriato data l’ossessione che cavalca Lew per questa nuova vocazione. Una pecca del film è che del protagonista e della sua storia non si conosce molto, la sua vita inizia laddove comincia la pellicola; Gilroy ha spiegato in più occasioni di come non poteva non spezzare la storia, intrecciando flashback dal passato, dello Sciacallo fino a quando non si è reso conto che Lew era un antieroe. E ha perfettamente ragione quando afferma che la missione del film è quello di illustrare che le azioni profondamente ossessionanti di Lew sono il prodotto del mondo in cui vive, il mondo che abbiamo lasciato accadere, un po’ come accade a Joker del pluri premio Oscar Joaquin Phoenix. Attraverso un personaggio del genere, Gilroy offre un dramma potente e strisciante con echi dei primi Scorsese, di Taxi Driver, della natura sociopatica di un Travis Bickle.

Per molti aspetti, Lew appare come la nostra incarnazione moderna di un tale personaggio villain; è completamente senza scrupoli o coscienza, felice di predare i morti o vederli morire immortalandoli nei loro ultimi momenti, nella carneficina della tragedia. Gyllenhaal, l’attore protagonista, ha parlato dei suoi lineamenti scarni, ossessivi e scheletrici (ha perso molto peso per la parte) e di come l’intenzione fosse quella di far apparire Lew come uno sciacallo, una forza spogliata che si nutriva di scarti, e si percepisce quel senso quasi immediatamente. C’è una sensazione dentro di lui di furia contenuta per l’ingiustizia del mondo, anzi è interessante il modo in cui Gilroy lo fa agire solo su istinti violenti, già nella prima scena, preambolo di tutto il resto. Lew non cade più in preda a questo mentre diventa sempre più un manipolatore, un Machiavelli in mutamento che coglie l’opportunità dal disastro e corre con essa, influenzando caoticamente la vita di coloro che lo circondano. Riz Ahmed interpreta in modo eccellente un senzatetto vulnerabile, Rick, che Lew corrompe nei suoi “affari”, mentre Rene Russo – una giornalista sull’orlo della fina della sua carriera – non è stata così brava da diversi anni fin quando il produttore di notizie del macabro, Lew, la manipola per vendere le sue storie sulla scena del crimine.

Nonostante queste manipolazioni, Lew – ed è la sua storia che guida completamente l’intero pezzo – è una bestia complessa; cerca il controllo completo su ciò che lo circonda e le persone nella sua vita, riflesso nel modo sincero con cui parla loro, ma tradisce una mancanza di comprensione sociale o il desiderio di appartenenza a qualcuno o come parte di qualcosa.

Gyllenhaal e la sceneggiatura suggeriscono solo marginalmente il suo passato, ma non abbiamo bisogno di capire chi fosse, solo chi è e come costruisce il ventre oscuro del giornalismo ai suoi bisogni voyeuristici. Vedi che c’è sicuramente un senso inquietante di bisogno in ciò che cattura, desiderio e compulsione, e mentre Lew inizia a interferire attivamente nel respingimento delle azioni criminali, si ha la sensazione che un artista stia preparando la sua foto – diventa meno un problema di denaro e un lavoro più profondo nella tana del coniglio che fa, e più di un complesso dio egocentrico; crede che ciò che sta facendo sia importante ed è spietato nel raggiungere i suoi obiettivi.

Intorno a tutto questo ci sono una miriade di temi che Gilroy inserisce nella sua superba sceneggiatura; gli scrupoli immorali dei media moderni, lo sfruttamento dei meno fortunati, come anche la riduzione dei tassi di criminalità sta influenzando attivamente la necessità delle notizie di “creare” più notizie. Lew cresce di livello professionale, come parte di causa ed effetto, perché le notizie generano più notizie, maggiori notizie, e alla fine iniziano a nutrirsi di se stesse.

È inquietante, reale e attuale. Gilroy si assicura che il ventre si rifletta nel modo in cui spara a Los Angeles; nel giorno è pieno di smog, cieli blu scuro ma quasi un senso di lontananza e isolamento, mentre si anima solo di notte, un mondo di sirene della polizia e violenza. La notte è il mondo di Lew.

 

  • 16/04/2020